Mentre in Oriente il tè viene sempre omega replica gustato da solo (a parte casi specifici in cui viene preparato con l’aggiunta di spezie oppure di riso soffiato), in Occidente, sia per necessità storiche e concrete legate ai lunghi tragitti ed il conseguente deterioramento che il tè doveva affrontare, sia per una questione di puro gusto, siamo soliti alterare la bevanda con aggiunta di elementi estranei.
Andiamo ad analizzarli uno per uno.
ZUCCHERO
Per risalire all’usanza di zuccherare il tè, dobbiamo fare un salto nell’Inghilterra di fine Seicento.
A partire dal 1670 circa, la Corte britannica, complice l’abbassarsi dei prezzi al consumo e la conseguente diffusione del prodotto ad ogni strato sociale della popolazione, iniziò a vedere nel tè una valida alternativa all’utilizzo di alcool.
L’aggiunta dello zucchero – che, oltretutto, servì a promuovere la coltivazione di canna (l’estrazione dalla barbabietola infatti non era ancora praticata), in molte colonie inglesi all’estero – aumentò ulteriormente la diffusione del tè fra le classi lavoratrici: oltre ad una maggiore attenzione, le calorie dello zucchero permettevano una maggiore sopportazione di freddo e fatica.
Da un punto di vista prettamente chimico, l’aggiunta di zucchero o miele non altera le proprietà nervine o antiossidanti del tè (né i polifenoli né la caffeina reagiscono allo zucchero), tuttavia ne altera sensibilmente le proprietà organolettiche (più il gusto che l’aroma).
L’aggiunta di zucchero inoltre, aumenta notevolmente le calorie della tazza di tè.
Va aperta una piccola parentesi a proposito delle “tempistiche di dolcificazione”.
Se si zucchera un tè destinato ad essere bevuto nell’arco di tutta la giornata, si deve tenere ben a mente che lo zucchero, in presenza di acqua, tende ad avviare i processi di fermentazione ad opera di batteri naturalmente presenti nell’ambiente. È dunque opportuno, per rallentare questo processo, ridurre il tempo che passa fra l’aggiunta del dolcificante ed il consumo della bevanda, oppure ridurre la temperatura di conservazione oppure – ed è quello che si attua per i tè freddi commerciali – aggiungere all’infuso le specifiche soluzioni antifungine.
L’aggiunta di zucchero o miele è comunque da sconsigliarsi in caso di tè molto delicati o raffinati, in quanto il sapore originario verrebbe completamente stravolto.
LIMONE
Il limone, oltre agli olii essenziali presenti soprattutto nella buccia, contiene anche un acido debole: l’acido ascorbico.
Aggiunto al tè, ne altera in maniera sostanziale sia il gusto che l’aroma; tuttavia queste modifiche non interessano solo le proprietà organolettiche ma anche quelle chimiche.
Durante il processo di fermentazione infatti, i polifenoli semplici contenuti nelle foglie di tè, si trasformano in polifenoli molto più complessi, una parte dei quali (le teorubigine) è responsabile del colore dei tè fermentanti, mentre un’altra parte (le teoflavine) dell’aroma.
Le teorubigine in modo particolare, sono sensibilissime alla presenza degli aicid, che ne alterano la struttura molecolare (tutti sappiamo che, aggiungendo del limone in una tazza di tè, questo cambia colore, diventando più chiaro).
In linea di massima possiamo affermare che i tè neri, sopratutto quelli più corposi come gli Assam oppure un aromatizzato dalla base agrumata come l’Earl Gray, tollerano meglio l’aggiunta di uno spicchio di limone.
Sarebbe invece preferibile evitarne l’aggiunta nei tè verdi, in quanto l’aroma prevaricherebbe in maniera eccessiva il sapore delicato, o in tè particolarmente aromatizzati, ad esempio nei tè fioriti o fruttati.
Assolutamente da evitare, per ovvi motivi, l’aggiunta di limone in un tè al quale sia stato aggiunto, o si voglia aggiungere, del latte: l’acido del limone farebbe immediatamente coagulare le proteine del latte, cagliandolo.
LATTE
Un discorso a parte merita l’aggiunta del latte (o di burro o panna).
Dal punto di vista del gusto, l’elevata quantità di proteine presenti nel latte e nei suoi derivati (e la presenza di altre sostanze che conferiscono loro sapore e profumo caratteristici) alterano enormemente sia il gusto che l’aroma del tè, conferendogli un gusto più rotondo.
Chimicamente invece, l’aggiunta di proteine limita l’effetto astringente dei polifenoli presenti nel tè. In realtà questo legame è abbastanza debole e, grazie alle condizioni chimico-fisiche presenti nello stomaco, si riescono a ristabilire le molecole polifenoliche.
Quale è il modo migliore per aggiungere del latte freddo in un tè caldo?
La domanda sembra banale, tuttavia non lo è affatto: il calore infatti influenza molte reazioni chimiche, fra cui quella della coagulazione della caseina, la proteina presente nel latte.
Se si aggiunge del latte direttamente nella tazza di tè bollente, si otterrà una netta separazione della caseina dalla bevanda, con un tipico gusto e profumo di formaggio fresco.
Se invece si mette del latte freddo nella tazza vuota e solo successivamente si aggiunge lentamente il tè caldo, si eviterà o comunque ridurrà la formazione della caseina, in quanto la temperatura del latte salirà in maniera più graduale.
Come nel caso del limone, per poter ben sopportare l’aggiunta di latte, è opportuno scegliere tè particolarmente corposi e robusti, in linea di massima neri in purezza.
Assolutamente sconsigliata l’aggiunta nei tè verdi e bianchi (troppo raffinati e delicati) o nei tè aromatizzati.